Nella vicenda la figura centrale è quella di Don Goglino, che nel 1925 riuscì a contagiare i Bruggesi con la “febbre dell’oro”. La notorietà del fatto fu molto rilevante tanto da arrivare alla prima pagina della “Domenica del Corriere”.
Accadde all’epoca che le bussole dei geometri del catasto impazzissero in certi luoghi. Consultato inoltre un frate, che era un’autorità come rabdomante, si ebbe il responso: oro!
Don Goglino fondò una specie di società per quote con lo scopo di raccogliere fondi per i lavori. Organizzò immediatamente turni di giorno e di notte e mise a disposizione pale e picconi.
Il sogno dei Bruggesi si consumava mentre, immersi nella melma e nell’acqua, cercavano nella terra quella ricchezza che non si accorgevano di avere intorno.
Non pochi furono i morti di tisi e, ancora più numerosi, furono coloro che, di fronte all’evidenza di tanto lavoro sprecato, rimasero delusi. L’oro non si trovò mai e don Goglino, che durante la “febbre” tanto si era adoperato, ristorando i cercatori col suo vino, organizzando turni e dando speranza e fiducia, morì col desiderio di possedere uno strumento di rilevazione più preciso.
Da una analisi meno emotiva del fatto, pare che che l'illusione dell'oro sia dovuta al fatto che all'epoca le lame venivano saldate con l'ottone, poi con la pulitura i piccoli frammenti di ottone venivano rilasciati e gettati, facilmente confondibili con l'oro. Altri parlano di uno scherzo di cattivo gusto.
Fu solo l’adeguatezza dei mezzi a mancare, certamente non la volontà. Rimase per loro il grande sogno disatteso, anche se forse qualcuno spera ancora.